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Robespierre

Discorso contro la guerra
(2 gennaio 1792)

Con questo discorso, Pronunziato nel Club dei giacobini, Robespíerre prese posizione contro la guerra, che era sostenuta dai Girondini e anche da una parte di accesi radicali, fiduciosi di poter abbattere le monarchie assolute in Europa e diffondere la rivoluzione. Robespierre metteva invece in guardia contro i peri- coli che la guerra avrebbe rappresentato proprio per la rivoluzione. Il partito della guerra finì col trionfare nell'aprite del 1792.

LA GUERRA E' DESIDERATA DALLA CORTE E DAI NEMICI DELLA RIVOLUZIONE.


Tutta la questioni sta proprio qui, nella nostra situazione straordinaria. Voi avete continuamente distolto i vostri sguardi da essa; ma io ho dimostrato ciò che era chiaro a tutto il mondo, che l'attuale proposta di guerra è il risultato di un progetto macchinato da tempo dai nemici in- terni della nostra libertà, ve ne ho mostrato gli scopi, ve ne ho indicato i mezzi d'esecuzione, altri vi hanno dimostrato che essa non è altro che una manifesta insidia, un oratore, membro dell'Assemblea costituente, vi ha detto a questo proposito certe verità,di fatto molto importanti, non vi è persona ché non si sia accorta di questa insidia al pensiero che coloro che avevano costantemente protetto l'emigrazione e gli emigrati ribelli si proponevano di dichiarare guerra ai loro protettori e nello stesso tempo difendevano ancora i nemici dell'interno ad essi confederati. Voi stessi avete convenuto che la guerra -piaceva agli emigrati, che piaceva al ministero, agli intriganti di corte, alla numerosa fazione i cui capi ben noti dirigono da tempo tutti i passi del potere esecutivo, le trombe dell'aristocrazia e del governo tutte insieme ne danno il segnale; infine chiunque negasse che la condotta della corte sia stata dall'inizio della rivoluzione sempre in contrasto coi principi dell'eguaglianza e coi rispetto per i diritti del popolo sarebbe considerato come un insensato se fosse in buona fede; chiunque dicesse che la corte propone una misura così decisiva come la guerra senza metterla in rapporto al suo piano, darebbe un'idea ancor meno buona dei suo giudizio. Ebbene, potete dire che sia indifferente per il bene dello Stato che l'impresa della guerra sia diretta dall'amore della libertà o dallo spirito di dispotismo, dalla fedeltà o dalla perfidia? Eppure cosa avete risposto a tutti questi fatti decisivi? Cosa avete detto per dissipare tanti giusti sospetti? La vostra risposta al punto che è il principio fondamentale di tutta la discussione permette di giudicare tutto il vostro sistema.

LA RIVOLUZIONE NON SI ESPORTA.

E' nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell'educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere la libertà so- spetta e terrificante a prima vista. L'idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo Politico è quella di credete che sia suffIciente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati, il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli nemici. [...]

Prima che gli effetti della rivoluzione si facciano sentire sulle nazioni straniere bisogna che essa sia consolidata. Voler dare la libertà ad altre nazioni prima di averla conquistata noi stessi, significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo intero. Pensare che quando un popolo si dà una costituzione tutti gli altri rispondano nello stesso istante a questo segnale, vuol dire formarsi un'idea esagerata e assurda delle cose. L'esempio dell'America, che voi avete citato, sarebbe stato sufficiente a spezzare le nostre catene, se il tempo e il concorso delle circostanze più fortunate non avessero avvicinato insensibilmente questa rivoluzione? La dichiarazione dei diritti non è la luce del sole che illumina tutti gli uomini nella stesso istante, non è la folgore che colpisce nello stesso tempo tutti i troni. E' più facile scriverla sulla carta o inciderla nel bronzo che ristabilire nel cuori degli uomini i suoi caratteri cancellati dall'ignoranza, dalle passioni e dal dispotismo. Che dico? Essa non è misconosciuta- calpestata, ignorata tutti i giorni perfino in mezzo a voi che l'avete promulgata? Dov'è l'uguaglianza dei diritti fuorché nei principi della nostra costituzione? Non rialza la sua testa schifosa il dispotismo, l'aristocrazia risuscitata sotto nuove forme? Non opprime essa ancora la debolezza, la virtù, l'innocenza in u nome della legge e della stessa libertà? Assomiglia tanto a sua madre la costituzione che si è detta figlia della dichiarazione dei diritti? Che dico? Questa vergine, un tempo raggiante di una beltà celeste, è ancora simile a se stessa? Non è uscita illividita e insudiciata dalle mani impure della coalizione che turba e tiranneggia oggi la Francia e alla quale non manca che l'adozione delle perfide misure che io combatto in questo momento per realizzare i suoi perfidi progetti? Come potete dunque credere che nello stesso momento in cui i nostri nemici interni avranno deciso per la guerra, essa opererà i prodigi che non ha potuto ancora operare in mezzo a noi?

IL CAMMINO DELLA RIVOLUZIONE

Sono ben lontano dal pretendere che la nostra rivoluzione non inluirà sulla sorte del Inondo in seguito, forse anche più presto di quanto le apparenze attuali sembrino annunciare. A Dio non piaccia che rinunci ad una speranza così dolce! Ma io sostengo che in questo momento ciò non può ancora avvenire; sostengo che per lo meno non ve n'è alcuna prova e che non bisogna mettere a repentaglio la nostra libertà, sostengo che per eseguire con successo una simile impresa in qualsiasi tempo lo si faccia, occorre volerla, mentre il governo che avrebbe esserne incaricato e i suoi agenti non la vogliono e l'hanno dichiarato chiaro e tondo. Infine volete un sicuro contravveleno a tutte le illusioni che vi si presentano? Riflettete seriamente sul cammino naturale delle rivoluzioni. Negli Stati costituiti, come sono quasi tutti i paesi d'Europa, vi sono tre potenze: il monarca, gli aristocratici e il popolo (ma veramente il popolo non conta nulla). Se in questi paesi scoppia una rivoluzione, non può essere che graduale. Essa comincia con l'azione dei nobili, dei clero, dei ricchi, e il popolo l'appoggia quando i suoi interessi si accordano coi loro per resistere all'oppressione della potenza dominante, ossia dei monarca. Così in mezzo a voi sono stati i parlamenti, i nobili, il clero, i ricchi che hanno dato la spinta alla rivoluzione; dopo è comparso il popolo. Essi se ne sono pentiti o per lo meno hanno voluto fermare la rivoluzione, quando hanno visto che il popolo poteva riconquistare la sua sovranità; ma sono loro che l' hanno cominciata; senza la loro resistenza e i loro calcoli sbagliati la nazione, sarebbe ancora sotto il giogo del dispotismo. Basandovi su questa verità storica e morale, potete giudicare quanto poco potete fare assegnamento sulle nazioni d'Europa in generale; infatti gli aristocratici di queste nazioni sono altrettanto nemici dei popolo e dell'eguaglianza quanto i nostri e, ben lontano dal dare il segnale dell'insurrezione, sono stati avvertiti dal nostro stesso esempio e si sono alleati col governo come i nostri, per mantenere il popolo nell'ignoranza e nelle catene e per sfuggire alla dichiarazione dei diritti. [...]

"RIMETTETE ORDINE IN CASA VOSTRA PRIMA DI PORTARE LA LIBERTA IN CASA D'ALTRI ".

Prima di smarrirvi nella politica e negli Stati dei principi d'Europa, cominciate a puntare i vostri sguardi sulla vostra situazione interna; rimettete ordine in casa vostra prima di portate la libertà in casa d'altri. Ma voi non volete essere minimamente infastiditi da questi pensieri, come se per i grandi politici non valessero le regole più elementari del buon senso. Rimettere ordine nelle finanze arrestarne la dilapidazione, armare il popolo e le guardie nazionali, fare tutto ciò che il governo ha voluto impedire finora, per non dover temere né gli attacchi dei nostri nemici né gli intrighi ministeriali, rianimare lo Spirito pubblico e risvegliare l'orrore della e tirannia, che solo può renderci invincibile contro tutti i nemici, con leggi benefiche, con un comportamento energico, dignitoso e saggio, tutto ciò non è che un insieme di idee ridicole. La guerra, la guerra, poiché la chiede la corte; questa decisione dispensa da ogni altra preoccupazione; Si è a posto nei riguardi del popolo, quando gli si dà la guerra; guerra contro i nemici indicati dalla corte nazionale e contro i principi tedeschi, fiducia, idolatria per i nemici interni. Ma cosa dico? ne abbiamo poi di nemici interni? No, voi non ne conoscete; voi non conoscete che Coblenza. Non avete detto che il focolaio della malattia è a Coblenza? Ma esso non è dunque a Parigi? Non vi è dunque relazione fra Coblenza e un altro luogo che non è troppo lontano da noi? Avete il coraggio di dire che ciò che ha fatto retrocedere la rivoluzione è la paura che ispirano alla nazione gli aristocratici fuggiaschi che essa ha sempre disprezzato, e poi vi aspettate da questa nazione prodigi di ogni genere! Sappiate dunque che a giudizio di tutti i francesi di buon senso la vera Coblenza è in Francia, che quella dei vescovo di Treviri non è che una delle leve di una grossa macchinazione contro la libertà, il cui centro, i cui capi sono in mezzo a noi, Se ignorate queste cose vuoi dire che tutto ciò che avviene in questo paese vi è estraneo. Se le sapete, perché le negate? Perché distogliere l'attenzione pubblica dai nostri più temibili nemici per fissarla su altri oggetti, per condurci nella trappola in cui essi ci attendono? [ ...]

PERICOLI DELLA GUERRA.

Come ho già detto, durante la guerra esterna gli avvenimenti militari distraggono il popolo dalle deliberazioni politiche che interessano le basi essenziali della sua libertà e fanno sì che esso presti minore attenzione alle sorde manovre degli intriganti che le minano e del potere esecutivo che le scuote, alla debolezza e alla corruzione dei rappresentanti che non le difendono. Questa politica fu adoperata in tutti i tempi, checché ne abbia detto il signor Brissot, l'esempio degli aristocratici di Roma è indicativo ed espressivo in questo senso. Quando il popolo reclamava i suoi diritti contro le usurpazioni del senato e dei patrizi, il senato dichiarava la guerra; e il popolo dimenticando i suoi diritti e gli oltraggi ricevuti, si occupava sol. tanto della guerra, lasciava al senato tutto il suo potere e preparava nuovi trionfi ai patrizi. La guerra è buona per gli ufficiali militari, per gli ambiziosi, per gli agitatori che speculano su questo genere di avvenimenti; è buona per la coalizione dei nobili, degli intriganti, dei moderati che governano la Francia. Questa fazione può mettere i suoi eroi e i suoi membri alla testa dell'esercito; la corte può affidate le forze dello Stato agli uomini che all'occasione possono servirla con tanto maggior successo quanto più saranno riusciti a conquistarsi una specie di reputazione di patriottismo; essi si guadagneranno il cuore e la fiducia dei soldati per legarli più fortemente alla causa del realismo e del moderatismo.

(Da La rivoluzione giacobina, a cura di G. Cantoni, Milano, 1953)

 

 

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